Couperus La potenza occulta. Frammento di proza

Famoso il romanzo e non meno celebre il suo autore: Louis Couperus. Riproponiamo di Couperus La potenza occulta. Il testo è una selezione dall’omonimo romanzo dal titolo De stille kracht. L’opera si inserisce nella tradizione letteraria che ha come tema principale la vita nell’allora colonia delle Indie orientali del Regno dei Paesi Bassi. Per motivi di leggibilità ho diviso il testo in cinque paragrafi.

Couperus La potenza occulta
Copertina della prima edizione.

La potenza occulta

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A Van Oudijck, nella vita tutto era andato generalmente bene. Di semplice famiglia olandese priva di denaro, la sua giovinezza era stata una scuola dura, ma non spietata, di serietà precoce; aveva avuto bisogno di mettersi presto al lavoro; aveva avuto la precoce necessità di guardare al futuro, alla carriera, al posto onorevole che, il più presto possibile, avrebbe dovuto occupare tra i suoi simili. I suoi anni di studi indologici a Delft erano stati felici abbastanza per fargli ricordare che era stato giovane e, poiché aveva anche preso parte a una mascherata, pensava addirittura di avere avuto una giovinezza piuttosto sfrenata e di avere sperperato un bel po’ di denaro.

Il suo carattere era un misto di quieta solidità olandese, di ragionevolezza pratica e di una certa dose di serietà di vita piuttosto malinconica e incolore: abituato a cercarsi un posto onorevole tra gli uomini, la sua ambizione si era sviluppata ritmicamente e continuamente in un misurato desiderio di progredire, che però si era svolto soltanto lungo quella linea cui il suo occhio si era sempre abituato a guardare: la linea gerarchica dell’Amministrazione Statale. Tutto gli era sempre riuscito: avendo grandi capacità, era ben considerato.

Fu assistente-residente prima della maggior parte degli altri e poi fu un giovane residente; ed invero, la sua ambizione era appagata ora che la sua posizione autorevole armonizzava con la sua natura, il cui desiderio di dominio era andato di pari passo con la sua ambizione.

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Era effettivamente contento, adesso, e sebbene il suo sguardo si spingesse ancora assai più lontano e vedesse balenare dinnanzi a sé un seggio nel Consiglio delle Indie e addirittura il trono a Buitenzorg (c’erano dei giorni in cui egli serio e soddisfatto asseriva che diventare residente di prima classe, oltre al fatto di avere una pensione più alta, comportava soltanto qualche vantaggio a Semarang e Surabaia, dato che le Terre dei Sultani erano piuttosto incomode e Batavia, poi, aveva una posizione del tutto speciale e quasi di minorità in mezzo a tanti alti funzionari, Consiglieri delle Indie e Direttori) … E anche, quindi, se il suo sguardo si spingeva tanto lontano, il suo senso pratico della misura poteva essere del tutto soddisfatto se gli avessero potuto predire che sarebbe morto da residente di Labuwangi.

Amava la sua regione, amava le Indie; non avvertiva mai desiderio dell’Olanda, né desiderava che si ostentasse la cultura europea: non aveva di queste brame, pur restando egli stesso sempre molto Olandese e soprattutto odiando tutto quello che era mezzo-sangue. Era la contraddizione del suo carattere, questa, perché si era scelto la sua prima moglie (una nonna) proprio per amore e i suoi figli, nei quali scorreva sangue indiano (Doddy lo dimostrava nell’aspetto esteriore, Theo invece nel carattere, mentre Ricus e René erano assolutamente due piccoli sinjo) gli erano cari per vero e proprio sentimento paterno, con tutto quel che di tenero e di sentimentale sonnecchiava in fondo al suo essere: bisogno di dare molto e di ricevere nell’ambito della sua vita familiare.

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Lentamente, questo bisogno si era allargato all’ambito della sua regione: in lui era presente un certo orgoglio paterno per i suoi assistenti-residenti e i suoi controllori, tra i quali era popolare e i quali lo amavano; e soltanto una volta, nei sei anni da che era residente di Labuwangi, non era andato d’accordo con un controllore, che era appunto di colore, e che, dopo avere avuto una certa dose di pazienza con lui e con se stesso, aveva fatto trasferire, come usava dire. Ed era orgoglioso di essere amato tra i suoi funzionari, nonostante la sua autorità severa e il suo severo ritmo di lavoro.

A maggior ragione si doleva della sorda e segreta ostilità con il Reggente, il suo “fratello minore” secondo i titoli in uso a Giava, nel quale egli avrebbe effettivamente voluto trovare il fratello minore, che sotto di lui, il fratello maggiore, governava il suo popolo giavanese. Gli dispiaceva di essere capitato così e pensava ad altri Reggenti; non soltanto al padre di questo, il nobile Pangéran, ma anche ad altri che conosceva: il Reggente di D., colto, che parlava e scriveva un ottimo olandese, autore di chiari articoli su giornali e riviste; al Reggente di S., giovane, un po’ facilone e vanesio, ma molto ricco e benefico, considerato nella cerchia europea quasi un dandy, galante con le signore.

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Perché mai a lui, a Labuwangi, doveva capitare di incontrare un tipo così invidioso, cheto e fanatico di wajang? con la sua fama di santo e di mago, stupidamente deificato dal popolo, del cui benessere quello ben poco si curava, mentre veniva adorato soltanto per il prestigio del suo nome antico (e in lui egli avvertiva sempre un’opposizione mai espressa e tuttavia sempre così palpabile sotto la sua gelida correttezza!). E poi c’era, a Ngadjiwa, il fratello, l’accanito giocatore di dadi – ma perché doveva essere capitato così, lui, con i suoi Reggenti?

Van Oudijck era di umor nero. Era abituato ormai a ricevere ogni tanto e con una certa regolarità delle lettere anonime con velenose calunnie, ora a carico di un residente-assistente, ora su un controllore. Talvolta insozzavano i capi Indiani, talvolta la sua stessa famiglia; talora sotto forma di amichevoli ammonimenti e talora invece con l’odiosa gioia del danno che arrecavano ammantata con la veste del volergli aprire gli occhi davanti alle mancanze dei suoi funzionari o ai misfatti di sua moglie. Ci era ormai tanto abituato, che non contava più le lettere di quel genere: le leggeva appena dandovi una scorsa e le strappava con noncuranza. Abituato a giudicare da solo, non gli facevano alcuna impressione quegli invidiosi ammonimenti, anche se come serpenti sibilanti essi alzavano la testa tra tutte le lettere che la posta quotidianamente gli portava.

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Quanto a sua moglie, era talmente cieco nei suoi confronti: egli aveva continuato a vedere Leonie calma e tranquilla, avvolta nella sua sorridente imperturbabilità, entro la chiusa tela della affettuosità familiare che lei era riuscita a costruire attorno a sé – nel vuoto dei continui ricevimenti di quella residenza così piena di sedie e divani –, che egli non avrebbe mai potuto credere alla benché minima parte di quelle calunnie. Lui non gliene parlava mai. Teneva a sua moglie; l’amava e poiché quando era in compagnia di altri la vedeva quasi sempre silenziosa, giacché ella non era mai civetta né si faceva corteggiare, egli non gettava mai uno sguardo in quell’abisso perverso che era la sua anima.

A casa, aveva quella completa cecità che tanto spesso hanno proprio gli uomini valenti e abili nelle relazioni di lavoro, abituati a guardar lontano nell’ampia prospettiva del loro campo d’azione, ma alquanto miopi in casa; usi ad analizzare l’insieme delle cose e non i dettagli di un’anima; a basare la loro conoscenza degli esseri umani su uno schema e a dividere gli uomini in tipi, come nella suddivisione dei ruoli in una commedia antiquata.

Uomini che afferrano immediatamente le capacità di lavoro dei loro sottoposti, ma che non vengono mai toccati da qualche cosa dell’intricato complesso, come confusi arabeschi, come tralci inselvatichiti dell’interno dell’anima dei loro familiari; che guardano sempre al di sopra delle loro teste, pensando sempre oltre le proprie parole e senza alcun interesse per quell’arcobaleno di emozioni e odio e invidia e vita e amore che brilla proprio davanti ai loro stessi occhi.

Note a Couperus La potenza occulta. Frammento di proza

  • La selezione è stata tradotto da G. Antonelli e fa parte dell’antologia edita da: Mor, et. al., pp. 282-284. Riferimenti bibliografici qui.
  • Louis Couperus, De stille kracht. Amsterdam: L.J. Veen, 1900, 212 pp. Testo integrale in nderlandese è disponibile sul sito db.nl
  • Il romanzo fu completato tra ottobre 1899 e febbraio 1900 durante il soggiorno dello scrittore a Batavia.

 

 

Hugo Claus Due poesie tradotte in italiano

Propongo di Hugo Claus Due poesie ripescato in una pubblicazione che risale a più di cinquant’anni fa. Le traduzioni erano già uscite in precedenza su alcuni periodici. Informazioni sullo scrittore Hugo Claus (1929-2008) e altre traduzioni delle sue opere in italiano in calce a questa pagina.

Un mattino come…

Un mattino come sempre la tua casa è vuota
si conta e ad uno ad uno
i giorni entrano nella gabbia

Si vede io vedo tu vedi
le bestie nascoste nel fresco specchio vedono
così ciò resterà sotto pelle

Il coltello rugginoso il sangue che si coagula
le pietre porose il latte insipido

Si dice tu dici
con voce cieca con gesto impietrito

Buongiorno
buongiorno cari bambini.

Anniversario

L’animale cangiato ch’io sono
compie oggi gli anni
e conosce il suo canile
per la ventiquattresima volta.

Al cancello del mondo
dimora crudele e cresce
come un gatto in casa
che copre la femmina accaldata.

Talvolta vedo come puerilmente
e rabbioso fruga
tra le maglie
e cerca gli anni che fanno
di me ciò che sono: animale
cangiato e bambino
che s’accoppia e passeggia
nell’arsura.

Compio gli anni: farfalla
sangue e notturno.

«Hugo Claus è stato il capofila dei giovani poeti fiamminghi della corrente modernista o sperimentale. La sua opera poetica, all’origine ricca di manipolazioni formali, rivela l’ossessione dell’incalzare del tempo, caratteristica dell’arte del XX secolo. Ma questo tema è accompagnato da un’originalità di sensazioni e di espressioni che in un certo senso pone la letteratura al di fuori e al sicuro dal tempo. D’altra parte è proprio nelle sfere della cultura, dell’arte e della storia che lo scrittore si è rifugiato.» (J. Weisgerber)

Note a Hugo Claus Due poesie

  • Il primo componimento è stato tradotto da Giacomo Prampolini e pubblicato nella sua raccolta Poeti fiamminghi. Versioni di Giacomo Prampolini, p. 37.
  • Invece il secondo componimento è stato tradotto da Gianni Montagna e pubblicato in: Ausonia, n. 2-4, XIV, marzo-agosto, Siena, 1959, pp. 169-170.
  • Si può consultare una pagina wikipedia in italiano.
  • Per altri autori tradotti in italiano cliccare qui.

 

 

Gerrit Achterberg (1905-1962) cronologia della vita

Tra i maggiori poeti del primo Novecento olandese si colloca sicuramente Gerrit Achterberg. La pagina seguente, intitolata Gerrit Achterberg (1905-1962) cronologia della vita, contiene le date e gli avvenimenti più importanti della sua tormentata esistenza. Nelle note alcuni riferimenti bibliografici.

1905

  • Nasce il 20 maggio a Nederlangbroek, nella provincia di Utrecht.

    1924

  • Frequenta il Nassau kweekschool (istituto magistrale) in Utrecht.
  • Lavora come insegnante in Opheusden.
  • Incontra Cathrien van Baak, la futura sposa.

    1925

  • Debutta con la raccolta De zangen van twee twintigers (Le canzoni di due ventenni) insieme con suo amico Arie Jac. Dekker. Dalla tiratura di 250 copia restano pochissimi esemplari.

1926

  • Pubblica con il titolo  ‘Strophen’ (strofe) tre componimenti nella rivista mensile Elsevier’s Geïllustreerd Maandschrift. La pubblicazione viene considerato il vero debutto del poeta Gerrit Achterberg.

1930

  • Trasloca all’Aia dove lavora come insegnate.

    1931

  • Pubblica Afvaart (Partenza della nave) la sua prima raccolta.

    1932

  • Viene ricoverato a Utrecht in una clinica psichiatrica-neurologica che si trova nella via Nicolaas Beets.

    1933

  • Ricoverato nella clinica Willem Arntszhoeve a Den Dolder, provincia di Utrecht.

    1934

  • Lavora come impiegato comunale a Utrecht.

    1937

  • il 15 dicembre durante una lite con la sua affittacamere Roel van Es il poeta spara un colpo con la sua pistola. La donna muore più tardi in ospedale e la figlia di lei Bep – presente nella stanza – si salva con una leggera ferita alla gola.

    1938

  • Achterberg viene ricoverato presso un istituto psichiatrico ad Avereest, provincia di Overijssel. Nella raccolta postuma Blauwzuur (Acido prussico) del 1969 alcune poesie sul soggiorno del poeta in quest’istituto.

1941

  • Ricoverato in vari istituti psichiatrici.

1945

  • Convive con Cathrien van Baak a Neede, provincia di Gheldria.

1946

  • Si sposa con Cathrien van Baak.
  • La coppia si trasferisce nella località Hoonte, procincia di Gheldria.

1948

  • Gli viene conferito il Premio Pinkster appositamente creato per lui.

1950

  • Insignito con il Premio P. C. Hooft per la letteratura del 1949 per la raccolta En Jezus schreef in ‘t zand (E Jesù scrisse nella sabbia). Si tratta del più importante premio letterario dei Peasi Bassi.

1953

  • Si trasferisce a Leusden, provincia di Utrecht.

1954

  • Insignito con il Premio di Poesia della città di Amsterdam per la raccolta Ballade van de gasfitter (Ballata del gassista).

1955

Gerrit Achterberg (1905-1962) cronologia della vita

  • Il 20 maggio, durante la cena nel suo onore nel ristorante dell’albergo De Lage Vuursche (provincia di Utrecht, riceve dalle mani del poeta A. Roland Holst il Liber Amicorum. Il volume raccoglie sessantotto contributi tra scrittori e artisti figurativi.

1959

  • Insignito con il premio Constantijn Huygens per l’intera opera poetica.

1961

  • Pubblica la sua ultima raccolta di poesie: Vergeetboek (Libro dei ricordi).

1962

  • Muore la sera del 17 gennaio a Leusden a un attacco di cuore.

Traduzioni in italiano

  • Tebe. Cura, nota e traduzione dal neerlandese in italiano e ladino friulano di Giorgio Faggin. Edizioni Joker, Novi Ligure, 2023.
  • Quattro poesie tradotte da Gerda van Woudenberg. In: A. Mor, J. Weisgeber, J.H. Meter, Antologia delle letterature del Belgio e dell’Olanda. Milano: Fratelli Fabbri Editori, pp. 332-335.

Note a Gerrit Achterberg (1905-1962) cronologia della vita

  • Wim Hazeu, “Gerrit Achterberg: Een biografie in woord en beeld”. In Vrij Nederland, 10 mei 1980, pp 2-43. Il supplemento culturale del settimanale è quasi interamente dedicato al poeta. Nel suo articolo Hazeu propone moltissime fotografie.
  • Wim Hazeu, Gerrit Achterberg: Een biografie. Amsterdam: Arbeiderspers, 1988. pp. 717.
  • Herman van der Heide, Colpito dalla fionda di Dio. Un’introduzione alla poesia di Gerrit Achterberg. Bologna: CLEUB, 2003.
  • Per la fondazione Gerrit Achterberg vedere qui il sito in olandese.
  • Vedere qui la pagina wikipedia in italiano.

 

 

Poesie di Jan-Jacob Slauerhoff tradotte in italiano

E nel 1947 che Giacomo Prampolini pubblica due poesie di Jan-Jacob Slauerhoff in una traduzione italiana. Ben 22 anni passano prima dell’arrivo di altri tre componimenti tradotti e raccolti in un fiorileggio del 1959. Dovevano passare 70 lunghi anni prima che una raccolta di ben 121 poesie vide la luce in Italia nel 2019. Tre anni dopo – nel 2022 – troviamo quattro poesie di Slauerhoff nella raccolta che Giorgio Faggin dedica a poeti olandese del Novecento.

Le tre poesie riportate in questa pagina sono state ricuperate dalla raccolta Poesia olandese contemporanea del 1959. I componimenti sono: ‘Canto autunnale del marinaio’, ‘Arcadi’ e ‘Passato’, seguiti dalle versioni originali.

Canto autunnale del marinaio

L’impeto di folate turbinanti
Distrugge i fiori indifesi
E spoglia le siepi che gemono:
I laghi chiari s’intorbidano.

Avessi un piccolo podere
Con bambini che giocano fuori
Per indugiare dietro i vetri
Umidi di pioggia, felice senza pensieri.

Dopo aver tanto vagato
E scrutato scontroso il mare eterno,
Dopo il lungo tumulto dei pericoli:
La quiete di un luogo tranquillo.

Ma è stato diverso,
I miei compagni sono morti prima
O dirottati in altra solitudine.
lo incagliato in una città morta,
Passeggio in un sentiero solitario,
Familiare con tombe abbandonate
Circondate da foglie moribonde.

Arcadia

Indolente si sveste tra il fogliame,
Trema in estasi e brama un rapitore,
Pensa a ninfe e fauni.

Ninfe che si davano a fauni
Con delizia, nude tra il fogliame,
Spiate da streghe sogghignanti.

L’acqua increspata la riflette morbida:
Le ondette del rio poco profondo
Fanno guerriglia ai suoi piccoli piedi.

Su un masso il marito la guarda
Giocare, si rode dalla rabbia
E succhia il suo manilla.

Passato

Penso all’isola dove non approderò più:
– Quasi invisibile dal mare, tanto è stretta;
Il piccolo villaggio che non nomino
Basso dietro la diga, sotto gli alberi –

E alla donna che non vedrò più:
Ero con lei una notte di tempesta,
Il vento notturno batteva alla vecchia finestra;
Giaceva molto calma e mormorava un nome
Che non rammento, ma che porto in tutti i miei sogni.

Le versioni in olandese

Zeemans Herfstlied

‘t Geweld van de wervelende vlagen
Verwoest de weerlooze bloemen
En plundert de steunende hagen;
De blanke meren vertroeblen.

Had ik nu een needrige hoeve
En kinderen spelende buiten,
Om aan de beregende ruiten
Gedachtloos gelukkig te toeven.

Na ‘t zwerven en stuursche staren
Over de eeuwige zee,
Na ‘t eindloos tumult van gevaren:
De stilt’ van een vredige stee. –

Maar het is anders geworden,
Mijn makkers zijn vroeger gestorven
Of in ander alleen-zijn verzworven.
Ik strandde in een doode stad,
Bewandel een eenzaam pad,
Vertrouwd met vergeten graven,
Omspeeld door zieltogende blaren.

Verleden

Ik denk aan ‘t eiland waar ‘k niet meer zal komen:
–’t Is bijna niet uit zee te zien, zoo smal;
Het kleine dorp dat ik niet noemen zal
Ligt diep achter den dijk onder zijn boomen –

En aan de vrouw bij wie ‘k niet meer zal komen:
Met haar lag ik één stormigen nacht tezaam,
De onrustige nachtwind rukte aan ‘t oude raam;
Zij lag zeer stil en mompelde een naam
Dien ‘k niet meer weet, maar draag in al mijn droomen.

Arcadia

Langzaam kleedt zij zich uit in het loover,
Rilt verrukt en verlangt een roover,
Denkt aan nimfen en faunen.

Nimfen die zich genotvol over-
Gaven aan faunen, naakt onder loover,
Begrijnsd door oude alraunen.

‘t Rimpelend water spiegelt haar week:
Met haar voetjes in de ondiepe beek
Voeren de golfjes guerilla.

Op een steen zit haar echtgenoot,
Ziet haar spelen, ergert zich dood
En zuigt op zijn manilla.

Poesie di Jan-Jacob Slauerhoff

Note a Poesie di Jan-Jacob Slauerhoff tradotte in italiano

  • Poesia olandese contemporanea. A cura di Gerda van Woudenberg e Francesco Nicosia. Milano: Schwartz, 1959, pp. 128 – 133.
  • Per altri scrittori e scrittrici olandesi tradotti in italiano vedere qui.
  • Esiste una pagina wikipedia dedicata allo scrittore.