Hans Andreus La città. Una poesia tradotta

Hans Andreus La città Una poesia tradottaLa poesia di Hans Andreus La città fu pubblicata in italiano nel 1959. Il poeta – il vero nome era Johan Wilhelm van der Zant – nacque nel 1929 ad Amsterdam. Morì nella cittadina Putten il 9 giugno 1977. Da scrittore usa il pseudonimo dalla fine degli anni quaranta. Ha scritto molto tra poesia, romanzi e racconti, storie e poesie per ragazzi, nonché radiodrammi.

LA CITTA’

La città grigia e terracotta
si stende tra laghi di reseda
le case su piedi di papera
si muovono solo una volta al giorno.

L’archivista insiste a pretendere
che centoventitré torri
sorridono in punta di piedi
con piccioni sotto le ascelle.

Le strade larghe dilungano
supine le strade strette
strisciano via sbirciando indietro
i canali cantano all’unisono.

Sulla città un sole d’ardesia
sulla città una luna d’ardesia
solo una volta l’anno gli alberi
si vestono e gli uccelli sempre cantano.

E io passo per le strade larghe e
parlo ai tram e alle macchine
e parlo a un ciclista cavalletta
che non mi sente.

E io passo per le strade strette
e saluto noti ladri di biciclette
rifaccio il trucco a donne su un cantone
con prudenza è il loro mestiere.

E sulle piazze lungo i canali
suono la fisarmonica e talvolta
s’apre uno spiraglio di finestra
talvolta salgo per una nottata.

E io vivo grigio e terracotta
tra le cento e tante torri
le case dai piedi troppo grandi
e i laghi di reseda.

Altre traduzioni

Nel gennaio 2022 furono pubblicate altre due poesie con testo olandese di fronte in una traduzione italiana da Giorgo Faggin. In calce le informazioni biografiche. Ecco i titoli dei due componimenti:

  • Giacere al sole, originale Liggen in de zon
  • Per un giorno di domani, originale Voor een dag van morgen.

Faggin scrive di Andreus: «Predomina il lui il tema della luce in tutte le sue implicazioni. Il tono è a volte scanzonato.» P. 183.

Note a Hans Andreus La città. Una poesia tradotta

  • La poesia di Hans Andreus La città fu pubblicata nel florilegio Poesia contemporanea olandese. La traduzione è di Gerda van Woudenberg che ha anche curato il volume, insieme a Francesco Nicosia, uscita presso l’editore milanese Schwarz nel 1959. Si tratta di un’edizione bilingua. A quanto pare non esistono altre traduzioni in italiano di opere dello scrittore.
  • Giorgio Faggin, Poesie olandesi del Novecento. Novi Ligure: Joker edizioni, 2022, pp. 183-187. La cura, le traduzioni e le note sono di Giorgio Faggin.
  • Non esiste una pagina su Hans Andreus su ‘Wikipedia Italia’ si può consultare quella inglese.

 

La ballata dei diciotto morti di Jan Campert

La poesia La ballata dei diciotto morti fu molto amata fin dalla sua pubblicazione. Jan Campert scrisse il componimento in risposta all’eccidio nazista di diciotto combattenti della Resistenza olandese il 13 marzo 1941.

Il poeta nacque nel 1902 nella cittadina di Spijkenisse. È stato poeta, giornalista e critico teatrale, scrivendo testi per il teatro, storie poliziesche, racconti e alcuni romanzi. Lo scrittore e poeta Remco Campert (1929-2022) è suo figlio. Jan Campert partecipò alla resistenza. Fu arrestata dai nazisti il 21 luglio 1942. Finì nel campo di concentramento di Neuengamme dove morì il 1 gennaio 1943. Jan Campert La ballata dei diciotto morti

La ballata dei diciotto morti

Una cella è lunga due metri
e larga soltanto due metri,
anche piupiccola è la fossa
che non conosco ma dove
riposerò senza nome
insieme con i compagni:
siamo in diciotto,
nessuno vedrà la sera.

O dolcezza di luce e terra
della libera costa d’Olanda,
da quando entrò l’oppressore
non ebbi un’ora di quiete.
Che resta a un uomo sincero
e fedele in tempi come questo?
Bacia il figlio, bacia la moglie
e affronta la lotta vana.

Sapevo già che il mio dovere
era pericolo e fatica,
ma il cuore che non può rifiutarlo
non teme mai il rischio,
sa come una volta da noi
la libertà fu onorata
prima che radiosa mano
d’un sacrilego ci volesse diversi.

Prima che lo spergiuro spaccone
avesse la bestiale audacia
d’irrompere in Olanda
e di rubare sul suo suolo:
prima che chi ciancia d’onore
e d’altra necessità tedesca
opprimesse il nostro popolo
e ci saccheggiasse come un ladro.

L’Acchiappatopi di Berlino
adesso fischia la sua arietta,
ma se è vero che muoio tra poco
e non vedrò più la mia cara
né piti spezzerò con lei il pane,
né più dormirò con lei,
dovete rifiutare ogni offerta
di quell’astuto corruttore.

E pensate, voi che leggete,
ai miei compagni di pena
e soprattutto ai loro cari
in questa grande disgrazia,
come noi abbiamo pensato
al nostro paese e al nostro popolo
dopo ogni notte nasce il giorno
e ogni nuvola scompare.

Vedo la prima luce del mattino
fermarsi sull’alta finestra.
Dio mio, fa che la morte
mi sia leggera e se ho peccato
come ognuno può peccare,
concedimi la tua grazia
affinché io muoia da uomo
quando sarò davanti ai fucili.

Jan Campert La ballata dei diciotto morti

Note a Jan Campert La ballata dei diciotto morti

  • Oltre alla traduzione supra pare non vi siano altri componimenti tradotti in italiano. La versione italiana citata è di Gerda van Woudenberg. Fu pubblicato nel suo fiorileggio Poesia olandese contemporanea.  Milano: Schwarz editore, 1959, p. 179.
  • Vedere la pagina wikipedia per il campo di concentramento di Neuengamme

 

Aart vander Leeuw Bellezza. Un racconto del 1925

Segue dello scrittore Aart vander Leeuw Bellezza, un breve racconto pubblicato nel 1925. Van der Leeuw nacque nel 1876 nella cittadina Hof van Delft e muore nel 1931 a Voorburg. Non ha scritto moltissimo ma rimane valido il suo ultimo romanzo De kleine Rudolf (Il piccolo Rudolf). Fu pubblicato nel 1930.

Aart vander Leeuw Bellezza, un racconto Lo scrittore ammirava le opere e i personaggi del movimento letterario del fine Ottocento: gli Ottantisti. Conobbe inoltre il poeta Albert Verwey. Van der Leeuw pubblicò molto dei suoi scritti nella rivista letterario-culturale De Beweging (Il Movimento), diretto dallo stesso  Verwey.

Bellezza

Un giorno dopo l’altro, l’impiegato dai capelli grigi trascorre le sue interminabili otto ore al muffito tavolo dell’ufficio, proprio come un malfattore sconta la sua pena in carcere. Il tavolo su cui stanno sparpagliate le sue scartoffie è sudicio e punteggiato di macchie d’inchiostro; contro le pareti a calce giallastra si elevano gli scaffali con gli schedari di cartone e sotto al rigido apparecchio telefonico troneggia ia macchina per copiare, minacciosa come uno strumento di tortura. Sono radunati lì dentro in sei: corvi famelici calati su un campo invernale dall’aspetto di morte; ogni tanto tossisce il vecchio contabile, che è asmatico, e scricchiolano le penne.

Ma l’impiegato dai capelli grigi sembra essere un po’ bizzarro. Quando dispiega gli atti ipotecari sui quali deve scrivere, si sofferma talvolta a fissare per qualche minuto la ceralacca rossa che suggella i documenti e sembra una goccia di sangue caduta sulla neve. E cerca anche di allisciare con tenerezza la cordicella di seta blu e verde che tiene insieme le pagine e poi rialza la testa e guarda attraverso i riquadri superiori delle finestre, giacché quelli soltanto sono trasparenti. Segue con gli occhi una nuvoletta viaggiante, che passa via ondeggiando come penna di cigno, oppure guarda come un airone si rechi nel suo territorio di caccia con placidi colpi d’ala.

Un solitario ramo di castagno si piega dondolando e slanciato si staglia nel cielo e l’impiegato ne conosce ogni fogliolina. In primavera egli osserva come si gonfino le gemme scintillanti e poi scoppino, come i fiori il pannocchia facciano sfoggio di pompa nuziale, e poi si dissecchino equino cadano per lasciar posto al frutto spinoso che matura e spaccandosi ma stra il prezioso seme di un caldo color bruno.

Quando sembra sprofondato nel suo lavoro, egli ogni tanto, in mezzo alle cifre, deve pensare alla fanciulla che nella strada triste ed angusta per la quale di solito passa gli è venuta incontro: aveva il collo nudo e camminava così agile e svelta come se il sole del mattino l’avesse invitata a danzare. E allora sorride, e le ore, di solito così dure e pesanti, gli sfuggono come sabbia calda di tra le dita.

Egli stesso non sa che è la bellezza che egli ama e nemmeno che essa è un bene degno di essere bramato, che si può cercarlo con le mani tese nel desiderio. Con semplicità accetta i suoi doni silenziosi, che non posseggono alcun altro valore se non quello di donare colore alle sue giornate grigie e monotone, come fa il rossore con guance pallide. E così non si rende affatto conto di essere divenuto, in una sua timida maniera, un paziente fratello di quei pii monaci dalla tonaca grigia che nelle nude celle stanno curvi su un libro oppure inginocchiati davanti alla croce, e con umiltà attendono lo splendore dorato della luce entro cui apparirà Dio.

Brevi note a Aart vander Leeuw Bellezza. Un racconto del 1925

  • Aart van der Leeuw, Vluchtige begroetingen. L’Aia: Nijgh & Van Ditmar, 1925, pp. 160-162. [Titolo ‘Saluti fugaci’]. Traduzione italiana del racconto  qui sopra è di G. Antonelli.
  • Non risultano altre traduzioni in italiano. Una pagina wikipedia in inglese.

 

Lucebert quattro poesie tradotte in italiano

Poeta e pittore: Lucebert quattro poesie tradotte in italiano. I componimenti furono tradotti verso la fine degli anni cinquanta e pubblicati nel 1959. Li riporto fuori dall’oblio.

Io cerco in modo poetico

lo cerco in modo poetico
Ciò significa
Acque della semplicità illuminate
Di esprimere
Lo spazio della vita completa

Se non fossi stato uomo
Uguale a moltitudine d’uomini
Ma se fossi colui che ero
L’angelo di pietra o fluido
Nascita e dissolvimento non mi avrebbero toccato
La strada dalla solitudine alla comunità
La strada pietre pietre bestie bestie uccelli uccelli
Non sarebbe tanto sudicia
Come ora appare nelle mie poesie
Istantanee di quella strada

Oggi ciò che sempre s’è chiamato
Bellezza bellezza ha il viso bruciato
Non consola più gli uomini
Consola le larve i rettili i topi
Ma spaventa l’uomo
E lo colpisce con la coscienza
Di essere una briciola sull’abito dell’universo

Non più soltanto il male
Il colpo mortale ci fa ribelli o umili
Ma anche il bene
L’abbraccio ci lascia disperati a tentare
Lo spazio

lo ho perciò cercato
La lingua nella sua bellezza
E allora ho udito che non aveva più d’umano
Che i balbettii dell’ombra
E della luce assordante del sole

Dammi schiudendoti

Dammi schiudendoti
Il tuo fiore insondabile il tuo bacio

Come un folle fuco galleggio
Sull’acquarello della sete

Di u e di a il tuo spazio
È saturo per il mio ansare

Di salire e respirare
È accumulato il mio corpo

E la mia voce gioca e batte le ali
Come un albero scuro alla fonte

Udite allora con le vostre mani affrettate
Allora il battito del vostro cuore
Sono un sogno buio nel sole
Sono l’uomo cento che abbraccia
Sono un cenno nelle nuvole

Pescatore di Ma Yuan

sotto nubi nuotano uccelli
sotto onde volano pesci
ma in mezzo il pescatore riposa

onde diventano alte nubi
nubi diventano alte onde
ma intanto il pescatore riposa

La fine

vecchio il tempo e molti uccelli nevicano
nel vuoto nella lontananza
si diventa stanchi e le voci
gelano anche sulle labbra più pure

ruvida e bassa procede la pioggia
dove sono andati i giorni chiari
dove sono rimaste le nuvole
ogni cosa è muta e di pietra

solo chi nell’angustia numerava gli elementi
curvo vibrando come le sferzate
dà l’ultimo suono: la canzone
ha vita eterna.

Note a Lucebert quattro poesie tradotte in italiano

Lucebert quattro poesie tradotte in italiano‘Lucebert’ è il pseudonimo di Lubertus Jacobus Swaanswijk (1924-1994). In quanto poeta era considerato il capostipite del movimento dei ‘Cinquantisti’, un gruppo di quindici poeti, che nel secondo dopoguerra iniziarono loro esperimenti di forma e di contenuto.

I commenti di alcuni altri poeti erano negativi e talvolta addirittura sprezzanti. Lo scrittore Gerard Reve, che si autodefinì ‘scrittore del popolo’, usava il termine ‘woordkakkerij’ che vuole dire ‘cacata di parole’. Il poeta Bertus Aafjes, celebre per la sua raccolta ‘In cammino verso Roma’, scrisse il 13 giugno 1953 un articolo in cui si domandò ‘È la SS entrata marciando nella poesia?’ Un chiaro riferimento al passato del giovane Lucebert entusiasta fautore del nazismo. La stigmatizzazione di Lucebert ha avuto un effetto devastante sulla carriere poetica di Aafjes. Diversi anni più tardi i due poeti si sono riavvicinati.